Omofobia. Fobia di cosa?

OMOFOBIA
FOBIA DI COSA?

 A cura della

Dott.ssa Maria Cristina Zezza

om

Il 17 maggio di ogni anno si celebra la Giornata internazionale contro l’omofobia.

L’omofobia che cos’è? Da dove nasce?

Il termine omofobia compare nel 1972, nel libro di G. Weinberg “Society and the Healthy Homosexual” definendolo come la “paura irrazionale, l’intolleranza e l’odio perpetrati nei confronti delle persone omosessuali, gay e lesbiche, dalle società “eterosessiste”, che si rifanno a uno schema ideologico che nega, denigra e stigmatizza ogni forma di comportamento, identità, relazione o comunità di persone non eterosessuali”.
Sento spesso dire in base a qualche tipo di psicologia spicciola che l’omofobia sia dovuta a un’omosessualità latente. Permettetemi di sfatare questo falso mito. Certo, in alcuni casi potrebbe essere vero, ma il discorso non è cosi semplicistico.

Le radici dell’omofobia derivano innanzitutto dalla cultura prevalentemente eterosessita in cui viviamo. Nasciamo e veniamo crsciuti infatti, in base all’assunto che si cresca ci si sposi e si facciano figli. Questo concetto di cosa sia la normalità della sessualità e della famiglia ci viene inculcato fin da piccoli. L’omosessualità diviene quindi automaticamente diversità, perversione, patologia, immoralità e tutto quanto può comportare un atteggiamento che devia dalla norma imposta. Va considerato che la paura del “diverso” è qualcosa di radicato nell’animo umano. Nella storia del mondo è successo più volte che individui o gruppi sociali che si differenziavano dalla maggioranza dominante, ad esempio per il colore della pelle, per il credo religioso, per il sesso, siano stati vittime di fenomeni di oppressione, di un atteggiamento generalizzato di diffidenza o disprezzo. Per di più, i cambiamenti sociali a cui assistiamo (maggiore integrazione razziale, maggiore visibilità degli omosessuali, legalizzazione dei matrimoni gay in larga parte del mondo occidentale) possono stimolare ulteriormente la paura del cambiamento e rendere, perciò, alcuni individui più sospettosi e ostili e, quindi, più inclini a sviluppare sentimenti omofobici.
Inoltre fino agli anni ’70 l’omosessualità era inserita nel Manuale Diagnostico dei Disturbi Mentali come Deviazione sessuale al pari della pedofilia o delle parafilie e questo sicuramente ha contribuito a considerarla una malattia. Nel 1973 l’omosessualità è stata rimossa dalla lista delle malattie mentali ed è stata invece riconosciuta la natura dell’omosessualità come ‘variante non patologica del comportamento sessuale’: le persone omosessuali possiedono un’identità psichica suscettibile alle patologie né più né meno di quella degli eterosessuali. Vent’anni dopo, nel 1993, la  stessa decisione veniva ufficialmente condivisa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il mondo della sanità (psicologi, psichiatri, medici), quindi, è concorde oramai nel ritenere l’omosessualità maschile e femminile una variante normale, non patologica del comportamento sessuale, proprio come l’eterosessualità maschile e femminile; l’omosessualità è “solo” uno dei possibili orientamenti sessuali di una persona.

Le radici dell’omofobia, nascono quindi da una cultura eterosessita che prende per normale e giusto solo un tipo di sessualità, da norme sociali e culturali rigide, da chiusura mentale e ignoranza (ad oggi c’è chi la definisce ancora una malattia), e discriminazione verso ciò che è diverso da se stessi.

 

Quali conseguenze?

Le conseguenze dell’omofobia riguardano importanti ripercussioni sociali e psicologiche per la persona omosessuale. In particolare rispetto a due aree:

il bullismo omofobo
l’omofobia interiorizzata

Per bullismo omofobo si intendono “quei comportamenti violenti a causa dei quali una persona viene esposta ripetutamente ad esclusione, isolamento, minaccia, insulti e aggressioni da parte del gruppo dei pari, di una o più persone che stanno nel suo ambiente più vicino, in una relazione asimmetrica di potere, dove gli aggressori o “bullisi servono dell’omofobia, del sessismo, e dei valori associati all’eterosessismo. La vittima sarà squalificata e de-umanizzata, e in generale, non potrà uscir fuori da sola da questa situazione, in cui possono trovarsi tanto i giovani gay, lesbiche, transessuali o bisessuali, ma anche qualunque persona che sia recepita o rappresentata fuori dai modelli di genere normativi” .
A partire da questa definizione, possiamo comprendere le forme differenti che il fenomeno assume, e che vanno dai comportamenti di tipo verbale alle violenze fisiche: derisioni, insulti, prese in giro, scritte sui muri o esclusione dal gruppo di pari, fino ad arrivare a violente prepotenze. Tali comportamenti si verificano a partire gia dalla giovane età, sopratutto in ambiente scolastico, fino ad arrivare anche all’ambiente lavorativo e di vita dell’adulto.

Rispetto al bullismo che conosciamo, il bullismo omofobo ha particolari conseguenze in quanto, citando il professor Vittorio Lingiardi:

1) Le prepotenze chiamano sempre in causa una dimensione nucleare del Sé psicologico e sessuale.

2) La vittima può incontrare particolari difficoltà a chiedere aiuto agli adulti (teme di richiamare l’attenzione sulla propria sessualità, con i relativi vissuti di ansia e vergogna, e il timore di deludere le aspettative dei genitori). Tra l’altro, gli stessi insegnanti e genitori possono a volte avere pregiudizi omonegativi, da cui svariate conseguenze: reazioni di diniego che portano a sottostimare o negare gli eventi; preoccupazione per l'”anormalità” del bambino, con relativi propositi di “cura”; atteggiamento espulsivo che si aggiunge alle dinamiche persecutorie.

3) Il bambino vittima può incontrare particolari difficoltà a individuare figure di sostegno e protezione fra i suoi pari. Il numero dei potenziali “difensori della vittima” si abbassa nelbullismo omofobico: “difendere un finocchio” comporta il rischio di essere considerati omosessuali.

4) Il bullismo omofobico può assumere significati difensivi rispetto all’omosessualità. Attraverso gli agìti omonegativi, il bambino afferma il suo essere “normale” e la propria conformità al genere; le prepotenze omofobiche potrebbero essere l’unico modo per dare sfogo ad affetti omosessuali repressi”.

In  una  società  fortemente  ostile  agli  omosessuali,  gay  e  lesbiche  devono  percorrere  un cammino  molto  difficile  e  problematico  attraverso  il  quale  riconoscere  il  loro  orientamento sessuale, sviluppare una identità basata su di esso, svelare il proprio orientamento sessuale agli altri (coming-out). Essendo cresciuti in una società in cui la cultura dominante è in larga parte eterosessista, i gay e le lesbiche spesso provano sentimenti negativi verso se stessi una volta riconosciuta  la  propria  omosessualità,  poiché  hanno  imparato  ad  accettare  l’eterosessualità come la norma e come l’unico modo corretto di essere. Soprattutto per i soggetti che si trovano ai primi stadi del processo di formazione dell’identità omosessuale, e in generale per chi non è capace di gestire efficacemente lo stigma associato all’identità gay o lesbica, la percezione di un  ambiente  familiare  e  sociale  repressivo  può  portare  a  interiorizzare  pensieri  e  sentimenti negativi nei confronti dell’omosessualità, e ciò può esprimersi sul piano psicologico attraverso la vergogna e il senso di colpa, la bassa autostima e la scarsa accettazione di sé.
L’omofobia interiorizzata sono quindi quei sentimenti di colpa, vergogna, disprezzo e rifiuto per se stessi che possono sviluppare i ragazzi omosessuali. Date le pressioni, l’isolamento e la condanna sociale il ragazzo può pensere e sentire di essere sbagliato, di non essere normale. Questi sentimenti possono portare a sviluppare un odio verso se stessi e gli altri omosessuali, sentimenti di inadeguatezza e di vergogna che, nei casi piu gravi spinge il giovane omosessuale anche al suicidio.

Il tema dell’omosessualità e dell’omofobia è quanto mai attuale e delicato per le implicazioni sociali culturali e religiose che lo riguardano.
Fino a quando ci saranno cosi tanti stereotipi e pregiudizi nei confronti di una cultura altra rispetto a quella eterosessista , sarà difficile riuscire a contrastare questi fenomeni. Nel nostro piccolo possiamo però cambiare le cose: promuovendo una cultura di accettazione di se e degli altri, capendo che ciò che noi reputiamo diverso da noi stessi non è ne malattia ne errore, e che nessuna persona debba essere considerata diversa, sbagliata o pericolosa in base a un orintamento sessuale, religioso, razziale diverso dal nostro e sopratutto che nessuno merita di essere discriminato, aggredito o punito per questo.